Consiglio dei Ministri n. 49, conferenza stampa su misure per il contrasto alla violenza sulle donne

Consiglio dei Ministri n. 49, conferenza stampa su misure per il contrasto alla violenza sulle donne

Da una veloce analisi del comunicato emergono alcuni spunti di riflessione.
Non abbiamo il testo integrale, rimandiamo ad una analisi più approfondita dopo averlo esaminato dettagliatamente, tuttavia le riflessioni nascono da quanto emerso nella conferenza stampa di presentazione.
Ogni norma, per sua stessa natura, nasce asessuata in nome della imprescindibile imparzialità che uno Stato di Diritto deve mantenere.
Una novella deve quindi essere applicabile a qualunque persona a prescindere da religione, estrazione sociale, età, fascia di reddito, orientamento sessuale ed ovviamente, genere.
La riforma presentata in conferenza stampa viene definita “provvedimento di prevenzione e contrasto al fenomeno della violenza” e fin qui ci siamo in quanto ad imparzialità, ma poi arriva la restrizione dell’ambito applicativo: “nei confronti delle donne”.
Restrizione ribadita: “Il disegno di legge si compone di 11 articoli e persegue un duplice obiettivo: quello di rafforzare sia gli strumenti di prevenzione sia quelli di protezione delle donne (…) ed inaspriscono le pene per i reati di violenza contro le donne”.
Prima riflessione: è mai possibile che la norma nasca con un grave vizio di costituzionalità, prevedendo tutele preventive e protettive esclusivamente per metà della popolazione, escludendo e quindi discriminando l’altra metà?
Seconda riflessione: può darsi – ripetiamo di non avere letto il testo integrale – che la norma non sia viziata da discriminazioni di genere, tuttavia è rilevante la propaganda ideologica con la quale viene presentata in quanto la comunicazione è marcatamente unidirezionale, come se la violenza domestica non avesse mai registrato una sola vittima di genere maschile.
Il fattore numerico non può essere rilevante per condizionare il Legislatore, non poggia su basi giuridiche la teoria secondo la quale le vittime femminili sarebbero più numerose di quelle maschili quindi diventa obbligatorio legiferare esclusivamente a protezione delle donne.
Sarebbe folle (nonché incostituzionale) escludere dalla protezione le vittime disabili di violenza perché le vittime normodotate sono più numerose; sarebbe folle escludere dalla protezione le vittime omosessuali di violenza perché le vittime eterosessuali sono più numerose; sarebbe folle escludere dalla protezione le vittime immigrate di violenza perché le vittime autoctone sono più numerose.
È singolare che diventi legittimo escludere dalla protezione le vittime maschili di violenza perché le vittime femminili sono più numerose.
Una misura protettiva deve tutelare ogni persona, qualsiasi discriminazione equivale ad una malcelata forma di razzismo.
Non possono esistere nel nostro impianto normativo reati a protezione dei settentrionali, anche se la casistica testimonia come la microcriminalità sia più diffusa nel meridione.
È compito del Ministero dell’Interno a rilevare a fine anno eventuali differenze nelle denunce per furto, rapina e truffa a carico di 1.000 napoletani e 10 torinesi, 1.000 romani e 10 milanesi, 1.000 baresi e 10 veneziani; però la distinzione non può e non deve essere fatta a monte e soprattutto nessun parlamentare propaganderebbe un eventuale inasprimento delle pene come “misure a tutela dei settentrionali”. Non potrebbe essere definita in altro modo che una forma di razzismo.
Quindi le misure presentate in conferenza stampa sono viziate da una discriminazione razzista.
O è razzista la norma, o è razzista l’ideologia con la quale viene propagandata. Tertium non datur.
Fabio Nestola, referente regione Lazio Minori in Primo Piano ODV

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